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Obbligo di riclassificazione delle cd zone “bianche” ed equo indennizzo?> 07/05/2011 Autore : Dott. Giovanni La Banca La decadenza dei vincoli comporta il venir meno della disciplina urbanistica delle aree ad essi soggette con la conseguente applicazione temporanea della disciplina delle c.d. zone bianche: in particolare, si sottolinea come la scadenza del vincolo di P.R.G., di valenza quinquennale e preordinato ad es. all’esproprio per finalità pubbliche, comporta che l'area interessata debba intendersi sottoposta all'applicazione, in luogo dell'originaria destinazione di zona, del regime proprio delle zone bianche. In tale situazione, viene a mancare la programmazione d'uso del territorio e si pongono dei dubbi sull’utilizzazione dello stesso, in riferimento, soprattutto, alla necessità che tali terreni siano precipuamente classificati dal punto di vista urbanistico, in modo tale da garantire la piena fruibilità del fondo da parte del legittimo proprietario, con la possibilità di esercitare il cd. ius aedificandi Principio consolidato, sia in giurisprudenza ( Consiglio di Stato, 12 ottobre 2010, n. 7442; id., 28 aprile 2010, n. 1405 ) che in dottrina, è l’obbligo per il Comune di procedere alla nuova pianificazione dell'area rimasta priva di disciplina urbanistica, nel momento in cui decadono i vincoli insistenti su di essa che comportano l'inedificabilità assoluta ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico; decadenza determinata dall'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2 comma 1, l. 19 novembre 1968 n. 1187. Tale obbligo trova fondamento nella necessità di provvedere alla riqualificazione urbanistica delle zone prive di una loro destinazione di uso, non essendo ammissibile l'esistenza di queste aree in un contesto in cui l'uso del territorio resta interamente soggetto alla disciplina degli strumenti urbanistici , dovendo il P.R.G. ricomprendere la totalità del territorio comunale. Nel caso in cui il Comune non adempia al proprio dovere di riclassificazione urbanistica, si determina un’illegittima inerzia da parte della P.A. ed è possibile la formazione del silenzio rifiuto, anche a seguito dell'intimazione da parte dei proprietari dell'area stessa ( anche se sembrerebbe non necessaria la diffida, alla luce del nuovo rito sul silenzio previsto dal codice del processo amministrativo ). Invero, è riconosciuto al proprietario del terreno, oggetto dell’intervento di ridefinizione urbanistica, in caso di mancato adempimento dell’obbligo da parte del Comune, il potere di presentare un'istanza, volta a ottenere l' attribuzione di una nuova destinazione urbanistica e la P.A. è tenuta a esaminarla, anche nel caso in cui la richiesta medesima non sia suscettibile di accoglimento, con l'obbligo di motivare congruamente tale decisione, fermo restando, naturalmente, il potere discrezionale della P.A. in ordine alla verifica e alla scelta della destinazione, in coerenza con la generale disciplina del territorio e con l'interesse pubblico al corretto e armonico suo utilizzo. In maniera più approfondita, la giurisprudenza ( T.A.R. Roma Lazio sez. II, 01 dicembre 2009, n. 12237 ) ha sostenuto che è illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione rispetto alla diffida volta ad ottenere l'emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica ad aree divenute prive di disciplina a causa della decadenza di vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione, o che comportino l'inedificabilità del suolo, o che comunque privino il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, nel momento in cui si verifica l'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2 comma 1, l. n. 1187 del 1968, decorrente dall'approvazione del p.r.g. Si sottolinea, in particolare, come nel caso in cui l'amministrazione, a giustificazione del silenzio, pronunci asserzioni generiche e non indichi con precisione i tempi procedimentali necessari, il provvedimento silenzioso va dichiarato illegittimo, con la consequenziale declaratoria dell'obbligo di provvedere in capo all'organo competente ad effettuare discrezionalmente la scelta della nuova destinazione da imprimere all'area, mediante adeguata motivazione. (T.A.R. Salerno Campania sez. II, 16 giugno 2008, n. 1944; T.A.R. Napoli, Campania, sez. I, 10 novembre 2005, n. 18849) Alla stregua di tale ipotesi, il rinvio dell’argomento da parte del Consiglio Comunale e un continuo non pronunciarsi sulla questione, a fronte di una istanza tesa ad ottenere la riclassificazione urbanistica di aree precedentemente gravate da vincoli espropriativi decaduti, non ha valore provvedimentale alcuno, ma rappresenta una mera comunicazione della esistenza dello schema di massima di un Piano regolatore o la sussistenza dell'elaborazione progettuale "in fase di definizione" o simili. In maniera particolarmente pregnante, si può affermare, analizzando anche alcune pronunce giurisprudenziali ( ad es. T.A.R. Catania Sicilia sez. I, 08 luglio 2008, n. 1312 ), che quando non sussiste ogni valido riferimento a scadenze procedimentali certe relative allo stato attuale dell'iter di esame, da parte dell'ufficio o del Consiglio comunale, dello strumento urbanistico "in itinere", il Comune è inadempiente all'obbligo di provvedere ed il ricorso ( prima ex art. 21 bis, l. n. 1034 del 1971. oggi ex art. 117 del codice del processo amministrativo ) è da ritenersi proponibile e fondato. Sempre la giurisprudenza ha chiarito che va accolto il ricorso proposto contro il silenzio rifiuto formatosi su una diffida a provvedere sulla definizione urbanistica di un'area già oggetto di vincolo espropriativo scaduto, fermo restando che l'accoglimento del gravame comporta esclusivamente l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere sull'istanza del soggetto interessato e di attribuire all'area una specifica e appropriata destinazione urbanistica. ( v. T.A.R. Napoli Campania sez. VIII, 16 settembre 2008, n. 10204 ). Emerge, inoltre, un problema rilevante evidenziato in alcune pronunce del Consiglio di Stato ( v. Consiglio Stato sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2262 ), secondo le quali, se da un lato si è affermato che gli atti dei procedimenti di adozione e approvazione di uno strumento urbanistico, contenente un vincolo preordinato all'esproprio, non devono prevedere la spettanza di un'indennità, allo stesso tempo si sancisce il diritto del proprietario di ottenere l' indennizzo commisurato alla entità del danno effettivamente prodotto, costituendo questa una questione di carattere patrimoniale (che però presuppone la conclusione del procedimento di pianificazione), devoluta alla cognizione della giurisdizione civile. La necessità di corrispondere un equo indennizzo al proprietario della cd. “area bianca” è stata riconosciuta dalla giurisprudenza in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale, n. 179 del 1999, nella quale, in fattispecie similari, è stato sottolineato, da un lato, il potere di disciplina del Comune, ma, dall’altro, esso va esercitato tenendo presente l’obbligo di un adeguato indennizzo per il proprietario del suolo. Il perdurare sine die dell’assenza di regolamentazione urbanistica per la/le particelle diventate “area bianca” determinerebbe, infatti, il perdurare di un vuoto di disciplina giuridica e di un regime provvisorio e precario, tale da inficiare lo jus aedificandi e gli altri diritti reali di cui è titolare il proprietario del terreno, in virtù della pacifica sussistenza dell’obbligo a carico del Comune di ridefinire sotto il profilo urbanistico la disciplina dell’area prima sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio, scaduto per decorrenza del periodo quinquennale di vigenza dello stesso, e provvedere a ripristinare il valore edificatorio dei terreni in questione soprattutto in presenza di una specifica volontà del privato che stimoli l’inerzia della Pubblica Amministrazione. L’inerzia dell’Ente Locale determina un grave danno, non solo economico, per gli istanti che si si pone sullo stesso piano di quello comunale, in quanto la riclassificazione dell’area in questa fase si traduce in un sostanziale e diretto interesse per il Comune stesso, soprattutto alla luce di quanto affermato dal Consiglio di Stato che, con il parere dell’Adunanza Plenaria n.4/2001 del 29/3/2001, ha statuito che il danno derivante dalla eventuale reiterazione del vincolo deve essere addirittura cumulata con l’indennità di esproprio. Danno che risulta oltremodo notevole qualora le particelle siano di proprietà di soggetti, come ditte di costruzioni o che svolgono attività edilizia, che utilizzano o che vorrebbero utilizzare tali terreni per lo svolgimento di dette attività e che si trovano impedite nell’esercizio del loro diritto e della loro attività lavorativa a causa dell’inerzia della P.A. Di tal ché, stante l’obbligo per il Comune di provvedere alla riclassificazione urbanistica delle aree diventate “zone bianche” dopo la decadenza dei vincoli quinquiennali, il privato cittadino, che non vede assolto tale obbligo, può ricorrere al G.A. per ottenere una pronuncia sul silenzio della P.A. e obbligare la stessa a provvedere in merito, oltre a chiedere un risarcimento per i danni da esso subiti. |
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Sentenza della Corte Costituzionale 20 maggio 1999, n. 179
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